Raffaello Sanzio, "La scuola di Atene". Tema: la facoltà dell'anima di conoscere il vero.

sabato 13 marzo 2010

Legittimo Impedimento: nuova immunità?

Si sente tanto parlare di legittimo impedimento, c’è chi lo vede come un obrobrio giuridico, chi lo vede come il male minore e chi dice che è una norma pacifica in uno Stato di diritto ed in particolare essenziale per la situazione italiana. Ma a furia di parlarne ci si è dimenticati (e forse non casualmente si è voluto così) che questo è un istituto già previsto dalle norme vigenti.
L’articolo 420-ter del Codice di Procedura Penale dice infatti che quando l’imputato non si presenta all’udienza e risulta che l’assenza è dovuta ad assoluta impossibilità di comparire per caso fortuito, forza maggiore o altro legittimo impedimento, il giudice rinvia ad una nuova udienza. Rinvio che il giudice può operare anche quando, su sua libera valutazione, appare probabile che l’assenza sia dovuta ad assoluta impossibilità di comparire per caso fortuito o forza maggiore.
Queste sono invece le novità apportate dalla nuova legge (che deve essere ancora promulgata dal Presidente della Repubblica): viene eliminata la discrezionalità del giudice nello stabilire se l’assenza dal processo, di un Ministro o del Presidente del Consiglio, in cui sono imputati possa essere giustificata o meno. La legge infatti prevede che il Presidente del Consiglio ed i Ministri sono sempre giustamente impediti a comparire in udienza, se nel momento di tale udienza devono svolgere un’attività istituzionale. Hanno per di più la possibilità di autocertificare, in maniera preventiva, il fatto che per sei mesi saranno sempre impegnati in tali attività e che quindi il giudice deve rinviare la nuova udienza in una data successiva a tale periodo. Periodo rinnovabile per due volte, perchè la legge prevede che la sua stessa validità decadrà dopo 18 mesi, quando sarà attuata una riforma della Costituzione che regolerà definitivamente la questione. La nuova disciplina è già applicabile ai processi penali in corso ed ha lo scopo di garantire ai Ministri ed al Presidente del Consiglio il sereno svolgimento delle rispettive funzioni.

Viste le regole, è opportuno fare un pò di contestualizzazione.
In generale. Qual è l’oggetto della questione? Il rapporto tra politica e magistratura, tra chi rappresenta il popolo e chi amministra la giustizia in nome del popolo. Rapporto spesso conflittuale, poichè i primi dettano le regole, legittimati dal popolo, mentre i secondi possono potenzialmente sanzionare i comportamenti illeciti dei primi, cosa poco gradita a una politica restia a sottomottersi alle regole da essa stessa create. Ma d’altronde quale potere non è incline ad ampliarsi? Quindi è normale che i vari poteri si scontrino tra loro e se ci sono delle buone regole di base, potrebbe rivelarsi anche uno scontro dai risvolti propositivi.
Prima che si instaurasse le Repubblica, quando c’era la Monarchia, il potere giudiziario era sostanzialmente controllato dal potere esecutivo. Per questo, per garantire il supremo principio di tutte le democrazie, ossia la divisione dei poteri (giudiziario, legislativo ed esecutivo), è stata sancita nella Costituzione l’importante regola dell’indipendenza ed autonomia della magistratura.
Sempre con memoria al fascismo, è stato scritto anche l’art. 68 della Costituzione. Infatti, visto l’utilizzo fatto durante il Ventennio della giustizia, ossia di repressione delle minoranze e di qualsiasi idea diversa da quelle ufficiali, si ritenne opportuno tutelare tutti i rappresentanti del popolo da eventuali abusi giudiziari, prevedendo quindi che nessun membro del Parlamento potesse essere sottoposto a procedimento penale o ad altro provvedimento cautelare senza l’autorizzazione a procedere della camera di appartenenza. Ovviamente con il passare del tempo è diminuito il rischio di abusi giudiziari, ma, nonostante ciò, l’autorizzazione a procedere è quasi sempre stata negata, con accordi di tutte le parti politiche, che si coprivano le spalle a vicenda. Da sottolineare che l’autorizzazione a procedere si dovrebbe negare solo in caso di fumus persecutionis, cioè quando è chiara l’intenzione persecutoria del magistrato che richiede l’autorizzazione.
Questa situazione ha creato la diffusione della concezione della classe politica come “casta”, al di sopra delle leggi. Alimentando così sentimenti di dissenso e di rabbia, sfociati nel 1993 allo scoppiare di Tangentopoli, quando si scoprì che c’era un “istituzionalizzato” sistema di corruzione dei membri dei vari partiti, che, per finanziare i partiti stessi, si facevano pagare dalle imprese in cambio della concessione di appalti in raggiro ai concorsi. Ovviamente questa è una descrizione semplicistica, ma, fatto sta, che su grande pressione dell’opinione pubblica, in un’Italia che rischiava il tracollo finanziario e istituzionale, venne approvata una legge costituzionale di riforma dell’art. 68, per dimostrare le buone intenzioni della “casta”.
Quindi, mentre prima per iniziare un qualsiasi procedimento penale era necessaria l’autorizzazione del Parlamento, ora il precedimento penale può avviarsi tranquillamente ed arrivare anche ad un’eventuale sentenza definitiva di condanna, in base alla quale il parlamentare potrebbe anche finire in carcere. L’istituto dell’autorizzazione però è rimasto, ma solo per le misure cautelari, ossia detenzione, perquisizioni o intercettazioni. Di queste ultime, che rappresentano uno dei principali mezzi di indagine, bisognerebe parlare più approfonditamente, ma basti qui sottolineare che anche se l’autorizzazione venisse concessa, risulterebbe svuotata della sua funzione, perchè il parlamentare sarebbe a conoscenza di tale misura.

In concomitanza con questa modifica, ci fu la discesa in campo dell’imprenditore Silvio Berlusconi, con il nuovo partito da lui fondato Forza Italia. Essendo soggetto a molti procedimenti e visto il suo ruolo di leader, ha catalizzato su di sè il problematico rapporto tra politica e magistratura, ma non è il solo ad averne ‘patito’, infatti sono molti i parlamentari indagati, sotto processo o condannati.
Ma nella situazione attuale, qual è il problema? Riprendendo la descrizione generale fatta all’inizio, il problema si è notevolmente acutizzato, perchè da una parte c’è una magistratura che cerca di dare consigli utili per una migliore amministrazione della giustizia (chi meglio di loro conosce le problematiche del settore?) ma che si attiene alle regole legittimamente stabilite dal legislatore e che ha poca rilevanza mediatica; mentre dall’altra parte c’è la classe politica che, forte della legittimazione popolare e dei mezzi di comunicazione, storce il naso ogni volta che qualcuno gli ricorda che deve comunque rendere conto alla giustizia come tutti gli altri cittadini. Messo di fronte alle proprie responsabilità, il politico lamenta una lesione, da parte della magistratura, della volontà espressa dal popolo, che lo ha voluto lì,a rappresentarlo. A proposito ricordo che la vecchia autorizzazione a procedere che oggi è ristretta alle sole misure cautelari, aveva ed ha la funzione di tutelare l’organo Parlamento nel suo insieme, per il corretto svolgimento delle sue funzioni, e non il singolo membro, che infatti non può rinunciare alla protezione offertagli dalla propria camera.

Ma perchè questo conflitto? Il fulcro di tutto è la buona fama che ogni persona vuole mantenere di sè, il rispetto della propria immagine. La base è la presunzione di innocenza, giusto principio in uno Stato di diritto quale è il nostro. Ma contrapposto al diritto che il politico ha, più di chiunque altro, di mantenere pulita la propria immagine, c’è il diritto dell’opinione pubblica ad essere informata delle questioni riguardanti gli eletti. In pratica, se il politico venisse processato senza che nessuno ne sia informato, la sua immagine rimarrebbe completamente integra, perchè sarebbe evitata ogni speculazione giornalistica. La notizia, di assoluzione o di condanna, potrebbe essere data solo a conclusione definitiva del processo. Così però, olre a ledere il principio della pubblicità del processo (la giustizia è infatti amministrata in nome del popolo), si lederebbe il diritto dell’opinione pubblica di conoscere i fatti rilevanti accaduti e compiuti dai propri rappresentanti. Infatti la Costituzione, prevedendo che i parlamentari esercitano le proprie funzioni senza vincoli di mandato, li sottopone ad una responsabilità politica, della quale debbono rispondere solo al momento delle successive elezioni.
Ma perchè ognuno sia messo di fronte alle proprie responsabilità, relative sia a promesse non mantenute che a comportamenti ritenuti non accettabili dall’opinione pubblica, è necessario appunto che siano a disposizione di tutti le notizie sugli eletti (soprattuto di come hanno svolto le proprie funzioni, ma tali notizie devono essere diffuse anche durante tale esercizio, perchè gli equilibri politici sono molto suscettibili a cambiamenti) e su vecchi e neo candidati. Rilevanti potrebbero essere anche eventuali indagini o processi in corso, da cui, nonostante la presunzione di innocenza, si possono ricavare azioni ed atteggiamenti ritenuti inopportuni o anche disdicevoli per chi deve svolgere ruoli di rappresentanza politica così importanti.
Ovviamente qui c’è il rischio di una manipolazione dell’opinione pubblica da parte della speculazione giornalistica, che magari tende ad enfatizzare più certi aspetti che altri, dando magari più importanza agli argomenti accusatori che a quelli difensivi.
Come contemperare questi due interessi? Entrambi sono fondamentali per un corretto svolgimento della vita democratica. Ma quale far prevalere? Il diritto all’integrità dell’immagine, coadiuvato dalla presunzione di non colpevolezza, oppure il diritto della circolazione delle informazioni e delle idee, elementi necessari per formare nel modo più equo possibile l’opinione di voto?
A questi bisognerebbe aggiungere anche l'interesse dell'eletto ad esercitare le proprie funzioni senza dover perdere tempo nelle questioni giudiziarie. Ma è un interesse che non può essere contemperato con il principio di uguaglianza, anche perchè comunque si può conocrdare un calendario tra giudici ed imputati.
Dunque, le ipotesi di soluzione sono tante. Ma due sono gli schieramenti. Il direttore del Tg1, Minzolini, ha sostenuto in un suo editoriale che l’aver tolto l’immunità parlamentare (che in parte è per altro rimasta) ha creato un ‘vulnus’ nella costituzione e sostiene, insieme ai politici della destra, che andrebbe reintrodotta. Ha fatto alcuni errori nelle sue affermazioni, ma ad essi lascio rispondere Travaglio (vedi i video in fondo). L’altra parte politica, cioè la sinistra è completamente contraria a questa reintroduzione. Ma qual è il problema di fondo dell’autorizzazione a procedere? Oltre ad essere anacronistico, come abbiamo visto sopra, ed oltre a creare probabilmente un’altra ondata di sfiducia nei confronti dei politici, farebbe sì che, essendo più o meno sempre gli stessi ad essere eletti, alcune persone, cioè gi onorevoli, avrebbero un’immunità permanente e non risponderebbero mai delle proprie colpe, o comunque non dimostrerebbero mai la propria innocenza. Certo, si potrebbe non votarli più, ma con il sistema delle liste bloccate non si possono esprimere preferenze, quindi è facile che vengano rieletti senza che nessuno possa impedirlo.
Anche alcuni magistrati hanno ammesso che dal 1993 è stata scaricata su di loro una responsabilità politica che non gli appartiene. Ma non responsabilità nel senso che possono decidere di propria volontà l’andamento della vita politica del paese (ma eventualmente anche questo) accusando a caso i politici che vogliono mandare a casa, anche perchè non fanno altro che applicare la legge, e la legge dice che l’azione penale è obbligatoria, il che significa che il magistrato ha l’obbligo di indagare su ogni notizia di reato, compresi quelli commessi da politici. Da questo si deduce che siamo di fronte ad una mancanza del legislatore e non ad una eccedenza di competenze dei magistrati. Quindi essi sono caricati di responsabilità politica nel senso che ogni qual volta che si occupano di un politico, si accendono i riflettori su di loro e vengono caricati di una pressione che non gli spetta.

Quindi oltre alla lacuna legislativa, c’è anche un senso di impunità da parte dei politici,che mancano sempre di senso dello Stato e di opportunità politica delle proprie scelte. Negli altri Paesi, qualsiasi persona eletta addetta all’amministrazione della cosa pubblica, non ha alcuna difficoltà a farsi da parte non appena abbia qualche guaio con la giustizia, anche per semplici illeciti bagatellari, che quando vengono scoperti qui in Italia non sono neanche degni di notizia. Questo perchè nelle democrazie un pò più evolute della nostra, non c’è una identificazione tra persona e carica. Chi si dimette dimostra di tenere di più alla propria carica di chi invece vuole rimanerci attaccata, perchè la rispetta talmente tanto che ha paura che venga anche solo minimamente lesa da un suo errore, anche se neanche è dimostrato. Chi invece non vuole alzarsi dalla sedia, dimostra totale sfregio per quella poltrona, perchè ha la pretesa che quella carica venga identificata e mortificata nella sua persona.
Però dato che i politici gridano alla lesa maestà da parte della magistratura e la additano come loro persecutrice, è normale che non si dimettano. Sembra dunque necessario un intervento del legislatore, composto però da quegli stessi politici.

Vediamo intanto cosa non dovrebbe fare il legislatore. Il legislatore non dovrebbe emanare leggi su questa materia, sospendendo dei processi, perchè chiaramente discriminatrici a favore di pochi. E per lesione del principio di uguaglianza dell’art. 3 cost., verrebbero tutte dichiarate incostituzionali dalla Corte Costituzionale. Cosa già successa al Lodo Schifani nel 2004 e al Lodo Alfano nel 2009. Infatti l’unico modo per non andare contro la Costituzione, sarebbe modificare la stessa. Si vede allora che questo nuovo legittimo impedimento è una nuova immunità processuale, mascherata sotto gli interessi al sereno svolgimento delle funzioni della propria carica, che il legislatore così decide essere prevalenti sulla norma costituzionale del principio di uguaglianza. Tant’è che la norma stessa limita la sua validità a 18 mesi, periodo entro il quale verrà emanata una legge costituzionale che risolverà il problema. (a meno che la Corte Costituzionale non deducesse un nuovo pincipio supremo, quello di uguaglianza, da affiancare ai tre già delineati da tutte le sentenze precedenti: lacità dello Stato, inderogabilità dell’ordine pubblico, tutela giurisdizionale. Principi supremi che non possono essere violati dalle norme stesse della Costituzione).
Quindi è come ammettere che si sta facendo una legge incostituzionale, ma che tanto verrà sanata poi. E questo non appare corretto. Certo, le regole consentono la loro violazione, prevedendo i rispettivi rimedi. Ma questi rimedi risultano insufficienti, perchè infatti permettono che le violazioni vengano continuamente perpetrate, causando così un logorio che forse non si era mai verificato prima. La continua violazione di una norma, senza adeguate sanzioni, può portare alla creazione di una prassi che avvalli queste violazioni, diminuendo, fino ad eliminarla la percezione dell’illegittimità di tale azione. Questo può succedere continuando ad emanare norme di per sè incostituzionali, ma che vengono riconosciute come tali in troppo tempo. Intanto le norme che violano norme superiori, hanno esplicato i loro effetti, creando così sempre maggior incertezza nel diritto. Quindi sarebbe forse il caso di rivedere i tempi della Corte per pronunciarsi, dando magari la precedenza a norme di maggior rilevanza politica.
Infatti questo leggittimo impedimento altro non è che l’ennesimo tentativo di guadagnare tempo, nello sfuggire ai processi e nell’attesa di raggiungere accordi più ampi in Parlamento per la riforma costituzionale, che richiede l’approvazione di due terzi dei componenti. Se il numero fosse inferiore, ci sarebbe probabilmente un referendum popolare, per il quale il “legittimo” interessato dovrebbe aspettare il momento più favorevole.

Dopo questa attenta analisi penso che la soluzione più semplice per risolvere questo “conflitto”, di cui non sto ad analizzare i modi ed i toni di svolgimento, che richiederebbero molto altro spazio, sia quella della legge costituzionale, che preveda però che una volta scaduto il mandato parlamentare non ci si possa ripresentare prima di aver avuto una sentenza definitiva. (parlando ovviamente di processi penali) Così mi sembra che vengano contemperate le esigenze sia di mantenere integra la propria immagine e sereno lo svolgimento delle proprie funzioni, evitando processi scandalosi; sia l’interesse pubblico a che la giustizia faccia il suo corso e che sia impedito a chi potrebbe essere condannato di amministrare la cosa pubblica.
Una regolamentazione aggiuntiva potrebbe essere quella che prevede che i condannati non possano più essere eletti, allargando la maglia dei reati la cui condanna è accompagnata dall’interdizione dai pubblici uffici. A tal proposito ricordo l'art. 54,2 cost.:"I cittadini cui sono affidate funzioni pubbliche hanno il dovere di adempierle, con disciplina ed onore, prestando giuramento nei casi previsti dalla legge."
Il problema è che la persona che ha più potere decisionale, è quella che più è interessata a questo provvedimento e che più ne influenzerebbe la formazione. Ciò certamente non contribuisce a svelenire il clima, anzi, è proprio questo plateale conflitto di interessi e l’arroganza di Berlusconi a causare una crescita dei toni. Come visto prima, sarebbe un gesto di grande rispetto verso lo Stato italiano se si facesse da parte, ma non essendo obbligato e dovendo continuare a perseguire i propri interessi (tra i quali c’è anche lo sfuggire alla giustizia), è un’ipotesi da non prendere nemmeno in considerazione. Per esemplificare bene il clima che c’è su questo argomento, basti vedere cosa è successo al processo Mediaset dove Berlusconi è imputato. Dopo che giudici ed avvocati si erano accordati su un calendario di udienze che fosse compatibile con le esigenze funzionali del Premier, gli avvocati, all’udienza successiva, hanno invocato il legittimo impedimento dell’art. 420-ter per un consiglio dei ministri straordinario. Ma gli è stato negato perchè dopo aver concordato un calendario, se fosse stata ancora ammessa l’assenza dall’udienza di Berlusconi come legittimo impedimento, come è prassi fare per ministri e parlamentari, si sancirebbe una prevalenza illegittima del sereno svolgimento delle funzioni pubbliche sul giusto andamento del processo e sulla corretta amministrazione della giustizia. Non l’avessero mai fatto. Riassumo in una frase le accuse: “i giudici decidono l’andamento della politica in Italia, si permettono di decidere quando il governo si deve riunire”.
Ma c’è la possibilità di risolvere la questione in altro modo, con legge ordinaria e cercando di contemperare tutti gli interessi in gioco?
Si potrebbe ipotizzare una legge che disciplini dettagliatamente i tempi ed i modi di divulgazione degli atti e dei fatti processuali. Valutazione che potrebbe essere demandata al giudice, ma qualsiasi decisione da lui presa sarebbe suscettibile nuovamente di essere tacciata di parzialità politica. Si potrebbe allora istituire un apposito organo indipendente, di varia composizione, che decida appunto, nei processi ai politici, cosa sia di rilevante interesse pubblico e cosa no. In base a ciò si decide cosa può essere divulgato e cosa no. Organo che sarebbe comunque al centro di polemiche.
Quindi per via ordinaria si potrebbero solo dettare le regole di divulgazione di atti e fatti processuali, regole che già in parte ci sono. Ma sarebbero appunto necessarie alcune regole particolari per i processi ai politici.
Impossibile in ogni caso, per via ordinaria, dettare una disciplina che sancisca una sostanziale immunità processuale. Magari impossibile no, ma comunque incostituzionale.

Speranze.
-Che il Presidente del Consiglio faccia un gesto di altruismo, per il rispetto che deve alla carica che ricopre, rassegnando le proprie dimissioni.
-Che i componenti della maggioranza realizzino il bene comune sfiduciando Berlusconi, smettendola per una volta di inseguire i propri fini particolari. Spero molto in Fini. Non posso e non voglio credere che tutti i parlamentari del PdL e della Lega siano convinti che sia giusto che Berlusconi si comporti in questo modo.
-Che il popolo italiano si svegli ed inizi a decidere cosa è meglio per sè. Se non altro (come dicono viceversa molti elettori di Berlusconi) che inizi a decidere cosa è meno peggio.
Jacopo De Angelis


Editoriale di Minzolini sull'immunità.
Travaglio su leggi immunitarie (in particolare risposta a Minzolini, dal min 3.40)

2 commenti:

  1. sembra un trattato. tagliare!

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  2. Hai ragione. E infatti ti risponderò il più stringatamente posssibile. Una sintesi è sempre possibile ed utile per l'efficacia del messaggio, proprio perchè immediata. Ma due sono i punti. Uno è il non sapere quanto effettivamente conosce l'ipotetico lettore. L'altro è che vorrei cercare di essere il più oggettivo possibile, per questo riporto tutti gli elementi della questione e mi dilungo. Ma quando uno si può permettere di sintetizzare al posto del lettore? Quando ha la sua fiducia. Perchè un'eventuale omissione potrebbe passare per faziosa, il che potrebbe impedire la nascita proprio di questa fiducia, soprattutto in un momento come questo, in cui non è possibile non essere schierati in partenza. Non sono un giornalista affermato, per questo devo creare un contorno di credibilità intorno alla mia figura e solo dopo posso sostituirmi al lettore nel sintetizzare i fatti.
    E poi non pretendo di scrivere per milioni di persone. Scrivo per me e per quelle persone che, come te, hanno la pazienza di scoprire come effettivamente stanno le cose seguendomi nella mia elaborazione, che spero sia fluida e non troppo complessa. Questo per ora mi basta. Poi si vedrà, sicuramente cambierò.
    Ti ringrazio comunque per la critica, anche perchè mi era già pervenuta uguale, ma a voce. Così è più ufficiale.
    Ti invito comunque anche a commentare nel merito il 'trattato'.
    Jacopo De Angelis (autore del 'trattato')

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