Raffaello Sanzio, "La scuola di Atene". Tema: la facoltà dell'anima di conoscere il vero.

lunedì 22 marzo 2010

Obama, il presidente di tutti. Berlusconi, il presidente di pochi


Mentre in America viene approvata la più importante riforma sanitaria della storia Americana, che garantirà assistenza a più di 32 milioni di cittadini, oggi il dibattito politico in Italia è concentrato sul reale numero di partecipanti alla manifastezione del PdL di sabato scorso a Roma.
Di una cosa sono certo: ai cittadini Italiani non interessa se i partecipanti erano 150 mila, come detto dalla questura, o un milione, come sostiene il governo. A noi interessa conoscere i costi della sanità nelle regioni, la differenza di spesa tra pubblico e privato e soprattutto come fare a migliorare l'offerta sanitaria delle fatiscenti agenzie ospedaliere pubbliche che ogni giorno ci offrono un servizio sempre più scadente.
E allora caro Berlusconi e cari ministri voi tutti, è bello riempirsi la bocca di promesse e slogan elettorali ma noi siamo stufi di parole: è ora che il governo del fare si metta veramente a fare qualcosa di utile ai cittadini, e non mi riferisco alla riforma della giustizia che serve a pochi ma ad una riforma sanitaria che serva a tutti.
E' proprio qui che sta la differenza principale tra il nostro governo e quello americano: mentre il nostro ci riempie la testa di promesse, quello Americano queste promesse le mantiene.

Questo video contiene delle perle di saggezza di Berlusconi e soci all'indomani dell'elezione di Barack Obama; inoltre un sagace commento del grandissimo Michele Serra (min. 4:20) sulle uscite del premier...

Buona visione:



E ora un pò del tanto amato e odiato Marco Travaglio con il suo PierBarack Berlusconi:

mercoledì 17 marzo 2010

LA VERITA' FA ESSERE LIBERI


Questi ultimi mesi di “bagarre” politica fatti di ladri che diventano grandi statisti, di prescrizioni che diventano assoluzioni, di firme irregolari e firme validissime, di Milioni di panini mangiati, di piazze semivuote secondo alcuni e gonfie fino a scoppiare per altri, mi portano a fare delle considerazioni sul concetto di verità e sulla veicolazione di essa ai giorni nostri.
CHE COS'E' LA VERITA'?
Verità: Qualità di ciò che è vero, ossia pienamente conforme alla realtà oggettiva, che è effettivamente avvenuto. Questa è la definizione da vocabolario, quella che daremmo tutti noi e che dovrebbe valere sempre. Tuttavia esiste un altro tipo di verità, una verità più subdola che si insinua nella mente della gente a furia di essere ripetuta, che diventa tale senza bisogno di riscontri oggettivi, ma non con meno forza e credibilità. E' la verità che spaventa perchè plasma gli avvenimenti ad uso e consumo di chi vuole creare un storia diversa, una strada alternativa alla realtà dei fatti. Come in un mondo “Orwelliano” dominato dalla propaganda del partito, tutto può essere vero come nulla: “la cosa più spaventosa era che poteva essere tutto vero. Se il partito poteva impossessarsi del passato fino a dire, di questo o di quell'altro avvenimento, non è mai successo... non era più spaventoso che soltanto la tortura o la morte?”
LE FONTI DELLA VERITA'
La nozione, pertanto, può svuotarsi completamente di significato, nel peggiore dei casi essere addirittura l'opposto della realtà, ma risultare comunque vera, dando vita ad un paradosso pericoloso. Dipende da chi viene pronunciata.
Così se una notizia viene data dal giornalista Tizio o dal politico Caio, che godono della mia simpatia e fiducia, sarà vera a prescindere e occorrerà un impegno ulteriore, al quale non tutti sono disposti, per verificare l'effettiva esattezza dell'informazione. Questo perché la ricerca della verità non è semplice. E' un percorso ad ostacoli, che il più delle volte viene considerato scomodo e di scarso interesse. Molto più semplice accettare la realtà per come ci viene presentata, “ingurgitare” direttamente l'informazione senza fare sforzi. Per mancanza di tempo o per altri fattori il cittadino medio delega indirettamente giornalisti e politici affinchè analizzino i fatti per lui, li sceglie in base alla qualità dei loro interventi in televisione o per i loro articoli sui giornali oppure molto più semplicemente per la loro appartenenza politica e su ciò basa il proprio pensiero e di conseguenza il proprio voto. Fin qui tutto normale. Il problema sorge nel momento in cui la possibilità di scegliere viene meno, quando la verità viene stabilita a tavolino e recitata come un copione da quasi la totalità delle fonti, quando le voci fuori dal coro vengono zittite, anche brutalmente se necessario, quando anche una semplice trasmissione pomeridiana si trasforma in uno strumento quotidiano di propaganda del non pensiero, quando chi vuole scrostare questa superficie omertosa è costretto a glorificare i pochi superstiti dell'informazione libera. Un fatto falso può diventare vero se ripetuto mille volte, allo stesso tempo un fatto vero se ripetuto troppo poco può diventare falso. Da qui si può capire l'importanza delle fonti, il suo peso sul gioco.
CONCLUSIONE
Dove si trova? E quante ne esistono? Queste potrebbero essere le ultime domande per capire con precisione il concetto di verità. Ebbene la verità può trovarsi unicamente in due posti: nei documenti e nelle nostre teste. I primi sono facilmente modificabili operando delle censure e riscrivendo i testi. Per le menti invece bisogna agire in maniera più subdola. Piano piano bisogna distribuire piccole pillole di bugie tra la gente, vedere come questa reagisce per aggiustare il tiro, affermare e poi negare, ripetere fino alla noia, e man mano alzare il livello. In poche parole ciò che si dice lavaggio del cervello. Se il trucco riesce basta un sorrisone a trentadue denti a favor di camera, un po' di cerone sul viso e si può dire e disdire di tutto. Per la serie “non è che vero che ho detto quello che ho appena detto”. E' di tutta evidenza che ciò potrà avvenire solo se si posseggono dei mezzi di comunicazione all'altezza. La verità appare quindi come un qualcosa di molto fragile e instabile; un bellissimo vaso di vetro in bilico su di un piedistallo, pronto a cadere alla minima scossa e a frantumarsi in tante piccole verità se non viene difeso adeguatamente.
Il sovvertimento dell'evidenza è possibile. Come conferma prendo ancora ad esempio le parole di George Orwell nel suo libro capolavoro 1984: “Perché dopo tutto, in che modo sappiamo che due e due fanno quattro? O che esiste la forza di gravità? O che il passato non si può mutare? Se sia il passato sia il mondo esterno esistono solo nella mente, e se la mente stessa è soggetta ad essere controllata... che ne segue?” e ancora “Il partito raccomandava di non badare alla prova fornita dai propri occhi e dalle propie orecchie. Era l'ordine finale, il più essenziale di tutti. Eppure lui aveva ragione! Loro avevano torto e lui aveva ragione. Le cose ovvie, le cose semplici, le cose vere dovevano essere difese. Le verità evidenti erano vere, non ci potevano essere dubbi, su questo! Il mondo concreto esisteva, le sue leggi non mutano. Le pietre sono dure, l'acqua è liquida, gli oggetti privi di sostegno cadono verso il centro della terra. Sempre pensando che stesse scrivendo a O'Brien e con l'idea di stare enunciando un importante assioma, egli scrisse:
La libertà consiste nella libertà di dire che due più due fanno quattro. Se è concessa questa libertà, ne seguono tutte le altre.”


Fabrizio Fusco

GENERAZIONE ITALIA: UN NUOVO PARTITO?


Non è passato molto tempo da quel indimenticabile 22 marzo di un anno fa, quando il presidente di Alleanza Nazionale, Gianfranco Fini, dichiarò la fine del partito in favore della confluenza nel PdL; già allora gli interrogativi e le perplessità erano parecchie ed oggi, dopo appena un anno, questi dubbi ritornano a galla e ci vengono nuovamente riproposti proprio da quei politici che li avevano sollevati.

“Il PdL dovrà essere un partito ampio, plurale, inclusivo, unitario. Ma unitario non vuol dire un partito a pensiero unico, c'é una contraddizione tra pensiero unico e popolo della libertà, perché col pensiero unico manca la libertà". Questa è solo una parte del discorso di Fini in occasione, appunto, dello scioglimento di AN ed è importante evidenziare come l’aspetto di un pensiero globale stia alla base dell’intesa tra ex aennini ed ex forzisti. Il PdL "ha un leader che è Berlusconi ed è di tutta evidenza", ma "una leadership forte e riconosciuta non significa il culto della personalità", ha precisato in seguito Gianfranco Fini.

D’altro canto, però, lo stesso Fini, si è reso conto che il partito, e dunque il governo, vive solo per merito del premier che, grazie al suo potere carismatico, e diciamo anche grazie al suo fare populista, è riuscito ad ottenere una schiacciante maggioranza; l’unico modo per evitare di finire in questo “culto” è dunque quello di mantenere sempre costante la propria linea politica senza dover cedere a nessun compromesso.


Questo aspetto è decisamente chiaro al Presidente della Camera ma quando la propria linea politica è totalmente discordante con quelle del proprio alleato allora bisogna correre al riparo: con un articolo scritto dal direttore del “Giornale” Vittorio Feltri (14/03/2010), viene annunciata la nascita di “Generazione Italia” un’associazione politica che prenderà piede il 1° aprile e che sarà gestita dal vice Presidente del PdL alla Camera Italo Bocchino, uomo da sempre vicino al Presidente Gianfranco Fini. I promotori di questa associazione hanno dichiarato da subito che non vi è alcun malcontento all’interno del partito e soprattutto nessuna volontà di costituirne uno nuovo, infatti, Generazione Italia, nasce solo in funzione di una nuova politica nel Pdl con l’obbiettivo di una migliore organizzazione all’interno del territorio e ad un maggiore coinvolgimento della gente, grazie anche ad un quotidiano on-line.

Tutto ciò, però, può insospettire i più attenti perché, infatti, di associazioni simili ce ne sono già parecchie, come la neo-nata “Promotori della Libertà”, voluta dal presidente Silvio Berlusconi e coordinata dal Ministro del Turismo Michela Brambilla, e, cosa ancora più importante, il PdL può già far vanto di un’ottima organizzazione territoriale: ne sono un esempio gli innumerevoli circoli sparsi per tutti i comuni Italiani. E allora la domanda sorge spontanea: perché l’esigenza di una nuova associazione?

L’insoddisfazione del Presidente della Camera nei confronti del suo partito è ormai cosa nota a tutti e dunque si potrebbe pensare che Generazione Italia sia il primo passo verso una scelta di campo diversa ma a frenare queste facili previsioni ci pensa lo stesso Fini che dichiara: “il PdL l’ho co-fondato e non lo lascio agli altri”; certo è che dopo tutte le dichiarazioni degli ultimi tempi risulta veramente difficile credere che il Presidente non abbia mai pensato di lasciare una volta per tutte quel partito così lontano dalla sua ideologia politica.

Per non rischiare di cadere in congetture prive di fatti che ne dimostrerebbero la veridicità mi limito soltanto ad ipotizzare che la nascita di questa associazione sia un’ottima trovata dello stesso Gianfranco Fini per calmare quegli animi insofferenti all’interno del PdL che non sono più in grado di accettare la leadership di Berlusconi e soprattutto che non sopportano più le pretese e la volgarità degli alleati Leghisti.

Per adesso all’interno del PdL non è stata sollevata alcuna perplessità; solo una voce si è fatta sentire, quella del Ministro Umberto Bossi, che si dichiara completamente indifferente alla vicenda, a meno che non si intralci il tanto agognato federalismo.



Amodeo Emanuele

lunedì 15 marzo 2010

IL MANGIABAMBINI

Ma quale Fascista?? Ma quale piduista mafioso?? Questo video svelerà il terzo mistero di fatima, ovvero qual è la vera identità politica di Silvio Berlusconi?

sabato 13 marzo 2010

COSA SOSTENIAMO?

Abbiamo solo un pianeta. Di questo pianeta più o meno il 25% è ecologicamente produttivo, cioè produce massa vegetale. A scuola impariamo che la circonferenza del pianeta è di 40mila chilometri e che siamo in circa 6 miliardi, quindi ogni studente riesce a calcolare che abbiamo a disposizione 1,8 ettari a testa. Questo è il budget su cui possiamo contare, quindi se qualcuno vi chiede che cosa significa "sostenibilità", è molto semplice: come possiamo avere la migliore vita all’interno di questo budget limitato che abbiamo.”
Mathis Wackernagel

La sfida dello “sviluppo sostenibile” lanciata a Rio de Janeiro nel 1992 ha focalizzato l’attenzione della comunità internazionale sulla compatibilità tra ambiente ed economia. Gli impatti sulla natura generati dalle nostre economie sono oggi di tale entità da rischiare di compromettere le capacità rigenerative e produttive degli ecosistemi.
Dalla metà del secolo scorso la conoscenza scientifica sul ruolo dell’uomo nella natura ha ampiamente affinato la capacità di comprensione degli effetti della pressione umana sui sistemi naturali della Terra. Già nel 1957 il lavoro di due grandi ricercatori, lo statunitense Roger Revelle (1909-1991), oceanografo e l’austriaco Hans Huess (1909-1993), geologo e paleontologo, registrava la dimensione planetaria della crisi della relazione antropica con i sistemi naturali. La loro ricerca considerava lo scambio di anidride carbonica tra atmosfera e oceano e la questione dell’incremento dell’anidride carbonica nella composizione chimica dell’atmosfera. La consapevolezza di un’interferenza globale dovuta alla pressione umana sui grandi cicli della natura, diventò sempre più evidente ai due ricercatori che proprio in questo lavoro scrissero:
Così gli esseri umani stanno compiendo un esperimento di geofisica su larga scala, di un tipo del quale non avrebbe mai potuto effettuarsi in passato”.
Il tema ambientale venne in seguito affrontato negli anni ’70 a Stoccolma, nel primo incontro mondiale sull’ambiente. In quell’occasione si posero le basi per una più incisiva regolamentazione delle attività umane, aventi rilevanti conseguenze ambientali. Basti pensare all’approvazione in sede CEE del primo programma di azione ambientale 1973-1977 e all’impulso che le direttive comunitarie impressero alle normative nazionali per la tutela dell’ambiente.
In quegli stessi anni l’Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico (OCSE), che riunisce i 21 stati più industrializzati, lanciava l’ammonimento sul “fallimento del mercato” nelle politiche di controllo dell’inquinamento. Si evidenziava che l’assenza di precise misure regolatorie accollasse i costi dell’inquinamento e delle misure di risanamento ambientale al di fuori dell’impresa, anziché sui costi di produzione, quindi l’ambiente non veniva contabilizzato.
Nel 1972 un gruppo di ricercatori del Massachussets Institute of Technology (MIT) elaborò il rapporto “Limits to Growth”, utilizzando un primo modello computerizzato per analizzare scenari futuri. Venne dimostrato che non era possibile, e non lo è tutt’oggi, ottenere una crescita economica, materiale e quantitativa, in un mondo che presenti dei limiti biofisici ben definiti (Meadows et al., 1972, 2006). Dalla consapevolezza di questi problemi e dalla constatazione di evidenti cambiamenti globali, il premio Nobel per la chimica, Paul Crutzen, definì il brevissimo periodo geologico che stiamo attraversando, che va dalla rivoluzione industriale ad oggi, Antropocene, proprio per accentuare il ruolo dell’intervento umano nei confronti dei sistemi naturali (Crutzen 2005). I lavori scientifici che avvalorano la teoria e che ci fanno supporre che siamo ormai nell’Antropocene, sono tanti, basti citare ad esempio Steffen et al., 2004. Per chiarire il concetto di questo nuovo periodo geologico ecco alcuni dati esemplificativi:
- negli ultimi 150 anni è stato esaurito oltre il 40% delle riserve conosciute di petrolio, che si sono formate nel corso di milioni di anni;
- oltre il 50% della superficie delle terre emerse dell’intero pianeta è stata trasformata direttamente dall’azione umana con conseguenze significative per la biodiversità, i cicli dei nutrienti, la struttura e la biologia del suolo e il sistema climatico. L’attività umana, ha trasformato l’83% della superficie delle terre emerse (Sanderson et al., 2002);
- oltre alla profonda modificazione del ciclo del carbonio, dovuto all’emissione in aria di carbonio derivante dalla combustione dei carboni fossili, si sta modificando la composizione chimica dell’atmosfera a causa dell’immisione di gas, che incrementano l’effetto serra;
- i tassi di estinzioni di specie viventi stanno rapidamente aumentando negli ecosistemi terrestri e marini;
- viene utilizzata più della metà di tutte le acque dolci accessibili e disponibili, e le risorse di acque sotterranee, presenti sul nostro pianeta, si stanno rapidamente esaurendo in molte aree;
- gli ambienti costieri sono notevolmente alterati, oltre il 40% degli ecosistemi marini presenta un impatto umano classificabile da elevato a molto elevato (Halpern et al., 2008), il 50% degli ambienti di mangrovie è stato distrutto;
- circa il 22% delle zone di pesca sono sovrasfruttate e profondamente alterate e oltre il 44% sono al limite del loro sfruttamento,
- l’estrazione globale delle risorse degli ecosistemi del pianeta risulta cresciuta dai 40 miliardi di tonnellate del 1980 ai 58 miliardi di tonnellate del 2005 (si prevede che il flusso di risorse, se i livelli di consumo continueranno a crescere e se non avranno luogo interventi politici seri per far declinare questo trend, raggiungerà nel 2020 gli 80 miliardi di tonnellate).
È ormai noto che l’andamento della continua crescita materiale e quantitativa dei sistemi socio-economici, del consumo delle risorse, della trasformazione di ambienti naturali e della produzione di rifiuti che essi provocano, non è più sostenibile da parte dei sistemi naturali.
Il primo passo per conoscere lo stato di salute dell’ambiente in cui viviamo consiste nel monitoraggio ambientale delle risorse necessarie al sostentamento della popolazione. È sempre più diffuso l’utilizzo di indici e di indicatori ambientali per realizzare un controllo periodico e sistematico delle diverse componenti ambientali, per stabilire il loro stato quali-quantitativo e la loro evoluzione nel tempo. In particolare, va evidenziata la presenza di una classe di indici, tra cui l’impronta ecologica, capace di stimare quanta “natura” viene utilizzata dalle nostre economie per produrre i beni ed i servizi che consumiamo, e quanta ne abbiamo ancora a disposizione.
Lo sviluppo sostenibile è sempre più rivolto all’intero “metabolismo” dei sistemi sociali coadiuvando quelli naturali. Per modificare gli attuali modelli di sviluppo e i conseguenti pattern di produzione e consumo, rendendoli più sostenibili, è quindi necessario comprendere a fondo la dimensione biofisica dei sistemi socio-economici. La società umana è strettamente correlata all’ambiente biofisico dal quale estrae risorse naturali e dove disperde i rifiuti. Il flusso di energia e materie prime che attraversa le società costituisce il metabolismo sociale. Un prerequisito per avviare percorsi di sostenibilità è costituito dalla riduzione del flusso del metabolismo sociale.
Bruno De Angelis
Bibliografia

- Crutzen P., Benvenuti nell’Antropocene!, Mondadori, 2005.
- Meadows D. et al., I limiti dello sviluppo, Mondadori, 1972.
- Meadows D., et al., I nuovi limiti dello sviluppo, Mondadori, 2006.
- Steffen W. et al., Global Change and the earth System. A Planet Under Pressure. Springer Velag, 2004.

Legittimo Impedimento: nuova immunità?

Si sente tanto parlare di legittimo impedimento, c’è chi lo vede come un obrobrio giuridico, chi lo vede come il male minore e chi dice che è una norma pacifica in uno Stato di diritto ed in particolare essenziale per la situazione italiana. Ma a furia di parlarne ci si è dimenticati (e forse non casualmente si è voluto così) che questo è un istituto già previsto dalle norme vigenti.
L’articolo 420-ter del Codice di Procedura Penale dice infatti che quando l’imputato non si presenta all’udienza e risulta che l’assenza è dovuta ad assoluta impossibilità di comparire per caso fortuito, forza maggiore o altro legittimo impedimento, il giudice rinvia ad una nuova udienza. Rinvio che il giudice può operare anche quando, su sua libera valutazione, appare probabile che l’assenza sia dovuta ad assoluta impossibilità di comparire per caso fortuito o forza maggiore.
Queste sono invece le novità apportate dalla nuova legge (che deve essere ancora promulgata dal Presidente della Repubblica): viene eliminata la discrezionalità del giudice nello stabilire se l’assenza dal processo, di un Ministro o del Presidente del Consiglio, in cui sono imputati possa essere giustificata o meno. La legge infatti prevede che il Presidente del Consiglio ed i Ministri sono sempre giustamente impediti a comparire in udienza, se nel momento di tale udienza devono svolgere un’attività istituzionale. Hanno per di più la possibilità di autocertificare, in maniera preventiva, il fatto che per sei mesi saranno sempre impegnati in tali attività e che quindi il giudice deve rinviare la nuova udienza in una data successiva a tale periodo. Periodo rinnovabile per due volte, perchè la legge prevede che la sua stessa validità decadrà dopo 18 mesi, quando sarà attuata una riforma della Costituzione che regolerà definitivamente la questione. La nuova disciplina è già applicabile ai processi penali in corso ed ha lo scopo di garantire ai Ministri ed al Presidente del Consiglio il sereno svolgimento delle rispettive funzioni.

Viste le regole, è opportuno fare un pò di contestualizzazione.
In generale. Qual è l’oggetto della questione? Il rapporto tra politica e magistratura, tra chi rappresenta il popolo e chi amministra la giustizia in nome del popolo. Rapporto spesso conflittuale, poichè i primi dettano le regole, legittimati dal popolo, mentre i secondi possono potenzialmente sanzionare i comportamenti illeciti dei primi, cosa poco gradita a una politica restia a sottomottersi alle regole da essa stessa create. Ma d’altronde quale potere non è incline ad ampliarsi? Quindi è normale che i vari poteri si scontrino tra loro e se ci sono delle buone regole di base, potrebbe rivelarsi anche uno scontro dai risvolti propositivi.
Prima che si instaurasse le Repubblica, quando c’era la Monarchia, il potere giudiziario era sostanzialmente controllato dal potere esecutivo. Per questo, per garantire il supremo principio di tutte le democrazie, ossia la divisione dei poteri (giudiziario, legislativo ed esecutivo), è stata sancita nella Costituzione l’importante regola dell’indipendenza ed autonomia della magistratura.
Sempre con memoria al fascismo, è stato scritto anche l’art. 68 della Costituzione. Infatti, visto l’utilizzo fatto durante il Ventennio della giustizia, ossia di repressione delle minoranze e di qualsiasi idea diversa da quelle ufficiali, si ritenne opportuno tutelare tutti i rappresentanti del popolo da eventuali abusi giudiziari, prevedendo quindi che nessun membro del Parlamento potesse essere sottoposto a procedimento penale o ad altro provvedimento cautelare senza l’autorizzazione a procedere della camera di appartenenza. Ovviamente con il passare del tempo è diminuito il rischio di abusi giudiziari, ma, nonostante ciò, l’autorizzazione a procedere è quasi sempre stata negata, con accordi di tutte le parti politiche, che si coprivano le spalle a vicenda. Da sottolineare che l’autorizzazione a procedere si dovrebbe negare solo in caso di fumus persecutionis, cioè quando è chiara l’intenzione persecutoria del magistrato che richiede l’autorizzazione.
Questa situazione ha creato la diffusione della concezione della classe politica come “casta”, al di sopra delle leggi. Alimentando così sentimenti di dissenso e di rabbia, sfociati nel 1993 allo scoppiare di Tangentopoli, quando si scoprì che c’era un “istituzionalizzato” sistema di corruzione dei membri dei vari partiti, che, per finanziare i partiti stessi, si facevano pagare dalle imprese in cambio della concessione di appalti in raggiro ai concorsi. Ovviamente questa è una descrizione semplicistica, ma, fatto sta, che su grande pressione dell’opinione pubblica, in un’Italia che rischiava il tracollo finanziario e istituzionale, venne approvata una legge costituzionale di riforma dell’art. 68, per dimostrare le buone intenzioni della “casta”.
Quindi, mentre prima per iniziare un qualsiasi procedimento penale era necessaria l’autorizzazione del Parlamento, ora il precedimento penale può avviarsi tranquillamente ed arrivare anche ad un’eventuale sentenza definitiva di condanna, in base alla quale il parlamentare potrebbe anche finire in carcere. L’istituto dell’autorizzazione però è rimasto, ma solo per le misure cautelari, ossia detenzione, perquisizioni o intercettazioni. Di queste ultime, che rappresentano uno dei principali mezzi di indagine, bisognerebe parlare più approfonditamente, ma basti qui sottolineare che anche se l’autorizzazione venisse concessa, risulterebbe svuotata della sua funzione, perchè il parlamentare sarebbe a conoscenza di tale misura.

In concomitanza con questa modifica, ci fu la discesa in campo dell’imprenditore Silvio Berlusconi, con il nuovo partito da lui fondato Forza Italia. Essendo soggetto a molti procedimenti e visto il suo ruolo di leader, ha catalizzato su di sè il problematico rapporto tra politica e magistratura, ma non è il solo ad averne ‘patito’, infatti sono molti i parlamentari indagati, sotto processo o condannati.
Ma nella situazione attuale, qual è il problema? Riprendendo la descrizione generale fatta all’inizio, il problema si è notevolmente acutizzato, perchè da una parte c’è una magistratura che cerca di dare consigli utili per una migliore amministrazione della giustizia (chi meglio di loro conosce le problematiche del settore?) ma che si attiene alle regole legittimamente stabilite dal legislatore e che ha poca rilevanza mediatica; mentre dall’altra parte c’è la classe politica che, forte della legittimazione popolare e dei mezzi di comunicazione, storce il naso ogni volta che qualcuno gli ricorda che deve comunque rendere conto alla giustizia come tutti gli altri cittadini. Messo di fronte alle proprie responsabilità, il politico lamenta una lesione, da parte della magistratura, della volontà espressa dal popolo, che lo ha voluto lì,a rappresentarlo. A proposito ricordo che la vecchia autorizzazione a procedere che oggi è ristretta alle sole misure cautelari, aveva ed ha la funzione di tutelare l’organo Parlamento nel suo insieme, per il corretto svolgimento delle sue funzioni, e non il singolo membro, che infatti non può rinunciare alla protezione offertagli dalla propria camera.

Ma perchè questo conflitto? Il fulcro di tutto è la buona fama che ogni persona vuole mantenere di sè, il rispetto della propria immagine. La base è la presunzione di innocenza, giusto principio in uno Stato di diritto quale è il nostro. Ma contrapposto al diritto che il politico ha, più di chiunque altro, di mantenere pulita la propria immagine, c’è il diritto dell’opinione pubblica ad essere informata delle questioni riguardanti gli eletti. In pratica, se il politico venisse processato senza che nessuno ne sia informato, la sua immagine rimarrebbe completamente integra, perchè sarebbe evitata ogni speculazione giornalistica. La notizia, di assoluzione o di condanna, potrebbe essere data solo a conclusione definitiva del processo. Così però, olre a ledere il principio della pubblicità del processo (la giustizia è infatti amministrata in nome del popolo), si lederebbe il diritto dell’opinione pubblica di conoscere i fatti rilevanti accaduti e compiuti dai propri rappresentanti. Infatti la Costituzione, prevedendo che i parlamentari esercitano le proprie funzioni senza vincoli di mandato, li sottopone ad una responsabilità politica, della quale debbono rispondere solo al momento delle successive elezioni.
Ma perchè ognuno sia messo di fronte alle proprie responsabilità, relative sia a promesse non mantenute che a comportamenti ritenuti non accettabili dall’opinione pubblica, è necessario appunto che siano a disposizione di tutti le notizie sugli eletti (soprattuto di come hanno svolto le proprie funzioni, ma tali notizie devono essere diffuse anche durante tale esercizio, perchè gli equilibri politici sono molto suscettibili a cambiamenti) e su vecchi e neo candidati. Rilevanti potrebbero essere anche eventuali indagini o processi in corso, da cui, nonostante la presunzione di innocenza, si possono ricavare azioni ed atteggiamenti ritenuti inopportuni o anche disdicevoli per chi deve svolgere ruoli di rappresentanza politica così importanti.
Ovviamente qui c’è il rischio di una manipolazione dell’opinione pubblica da parte della speculazione giornalistica, che magari tende ad enfatizzare più certi aspetti che altri, dando magari più importanza agli argomenti accusatori che a quelli difensivi.
Come contemperare questi due interessi? Entrambi sono fondamentali per un corretto svolgimento della vita democratica. Ma quale far prevalere? Il diritto all’integrità dell’immagine, coadiuvato dalla presunzione di non colpevolezza, oppure il diritto della circolazione delle informazioni e delle idee, elementi necessari per formare nel modo più equo possibile l’opinione di voto?
A questi bisognerebbe aggiungere anche l'interesse dell'eletto ad esercitare le proprie funzioni senza dover perdere tempo nelle questioni giudiziarie. Ma è un interesse che non può essere contemperato con il principio di uguaglianza, anche perchè comunque si può conocrdare un calendario tra giudici ed imputati.
Dunque, le ipotesi di soluzione sono tante. Ma due sono gli schieramenti. Il direttore del Tg1, Minzolini, ha sostenuto in un suo editoriale che l’aver tolto l’immunità parlamentare (che in parte è per altro rimasta) ha creato un ‘vulnus’ nella costituzione e sostiene, insieme ai politici della destra, che andrebbe reintrodotta. Ha fatto alcuni errori nelle sue affermazioni, ma ad essi lascio rispondere Travaglio (vedi i video in fondo). L’altra parte politica, cioè la sinistra è completamente contraria a questa reintroduzione. Ma qual è il problema di fondo dell’autorizzazione a procedere? Oltre ad essere anacronistico, come abbiamo visto sopra, ed oltre a creare probabilmente un’altra ondata di sfiducia nei confronti dei politici, farebbe sì che, essendo più o meno sempre gli stessi ad essere eletti, alcune persone, cioè gi onorevoli, avrebbero un’immunità permanente e non risponderebbero mai delle proprie colpe, o comunque non dimostrerebbero mai la propria innocenza. Certo, si potrebbe non votarli più, ma con il sistema delle liste bloccate non si possono esprimere preferenze, quindi è facile che vengano rieletti senza che nessuno possa impedirlo.
Anche alcuni magistrati hanno ammesso che dal 1993 è stata scaricata su di loro una responsabilità politica che non gli appartiene. Ma non responsabilità nel senso che possono decidere di propria volontà l’andamento della vita politica del paese (ma eventualmente anche questo) accusando a caso i politici che vogliono mandare a casa, anche perchè non fanno altro che applicare la legge, e la legge dice che l’azione penale è obbligatoria, il che significa che il magistrato ha l’obbligo di indagare su ogni notizia di reato, compresi quelli commessi da politici. Da questo si deduce che siamo di fronte ad una mancanza del legislatore e non ad una eccedenza di competenze dei magistrati. Quindi essi sono caricati di responsabilità politica nel senso che ogni qual volta che si occupano di un politico, si accendono i riflettori su di loro e vengono caricati di una pressione che non gli spetta.

Quindi oltre alla lacuna legislativa, c’è anche un senso di impunità da parte dei politici,che mancano sempre di senso dello Stato e di opportunità politica delle proprie scelte. Negli altri Paesi, qualsiasi persona eletta addetta all’amministrazione della cosa pubblica, non ha alcuna difficoltà a farsi da parte non appena abbia qualche guaio con la giustizia, anche per semplici illeciti bagatellari, che quando vengono scoperti qui in Italia non sono neanche degni di notizia. Questo perchè nelle democrazie un pò più evolute della nostra, non c’è una identificazione tra persona e carica. Chi si dimette dimostra di tenere di più alla propria carica di chi invece vuole rimanerci attaccata, perchè la rispetta talmente tanto che ha paura che venga anche solo minimamente lesa da un suo errore, anche se neanche è dimostrato. Chi invece non vuole alzarsi dalla sedia, dimostra totale sfregio per quella poltrona, perchè ha la pretesa che quella carica venga identificata e mortificata nella sua persona.
Però dato che i politici gridano alla lesa maestà da parte della magistratura e la additano come loro persecutrice, è normale che non si dimettano. Sembra dunque necessario un intervento del legislatore, composto però da quegli stessi politici.

Vediamo intanto cosa non dovrebbe fare il legislatore. Il legislatore non dovrebbe emanare leggi su questa materia, sospendendo dei processi, perchè chiaramente discriminatrici a favore di pochi. E per lesione del principio di uguaglianza dell’art. 3 cost., verrebbero tutte dichiarate incostituzionali dalla Corte Costituzionale. Cosa già successa al Lodo Schifani nel 2004 e al Lodo Alfano nel 2009. Infatti l’unico modo per non andare contro la Costituzione, sarebbe modificare la stessa. Si vede allora che questo nuovo legittimo impedimento è una nuova immunità processuale, mascherata sotto gli interessi al sereno svolgimento delle funzioni della propria carica, che il legislatore così decide essere prevalenti sulla norma costituzionale del principio di uguaglianza. Tant’è che la norma stessa limita la sua validità a 18 mesi, periodo entro il quale verrà emanata una legge costituzionale che risolverà il problema. (a meno che la Corte Costituzionale non deducesse un nuovo pincipio supremo, quello di uguaglianza, da affiancare ai tre già delineati da tutte le sentenze precedenti: lacità dello Stato, inderogabilità dell’ordine pubblico, tutela giurisdizionale. Principi supremi che non possono essere violati dalle norme stesse della Costituzione).
Quindi è come ammettere che si sta facendo una legge incostituzionale, ma che tanto verrà sanata poi. E questo non appare corretto. Certo, le regole consentono la loro violazione, prevedendo i rispettivi rimedi. Ma questi rimedi risultano insufficienti, perchè infatti permettono che le violazioni vengano continuamente perpetrate, causando così un logorio che forse non si era mai verificato prima. La continua violazione di una norma, senza adeguate sanzioni, può portare alla creazione di una prassi che avvalli queste violazioni, diminuendo, fino ad eliminarla la percezione dell’illegittimità di tale azione. Questo può succedere continuando ad emanare norme di per sè incostituzionali, ma che vengono riconosciute come tali in troppo tempo. Intanto le norme che violano norme superiori, hanno esplicato i loro effetti, creando così sempre maggior incertezza nel diritto. Quindi sarebbe forse il caso di rivedere i tempi della Corte per pronunciarsi, dando magari la precedenza a norme di maggior rilevanza politica.
Infatti questo leggittimo impedimento altro non è che l’ennesimo tentativo di guadagnare tempo, nello sfuggire ai processi e nell’attesa di raggiungere accordi più ampi in Parlamento per la riforma costituzionale, che richiede l’approvazione di due terzi dei componenti. Se il numero fosse inferiore, ci sarebbe probabilmente un referendum popolare, per il quale il “legittimo” interessato dovrebbe aspettare il momento più favorevole.

Dopo questa attenta analisi penso che la soluzione più semplice per risolvere questo “conflitto”, di cui non sto ad analizzare i modi ed i toni di svolgimento, che richiederebbero molto altro spazio, sia quella della legge costituzionale, che preveda però che una volta scaduto il mandato parlamentare non ci si possa ripresentare prima di aver avuto una sentenza definitiva. (parlando ovviamente di processi penali) Così mi sembra che vengano contemperate le esigenze sia di mantenere integra la propria immagine e sereno lo svolgimento delle proprie funzioni, evitando processi scandalosi; sia l’interesse pubblico a che la giustizia faccia il suo corso e che sia impedito a chi potrebbe essere condannato di amministrare la cosa pubblica.
Una regolamentazione aggiuntiva potrebbe essere quella che prevede che i condannati non possano più essere eletti, allargando la maglia dei reati la cui condanna è accompagnata dall’interdizione dai pubblici uffici. A tal proposito ricordo l'art. 54,2 cost.:"I cittadini cui sono affidate funzioni pubbliche hanno il dovere di adempierle, con disciplina ed onore, prestando giuramento nei casi previsti dalla legge."
Il problema è che la persona che ha più potere decisionale, è quella che più è interessata a questo provvedimento e che più ne influenzerebbe la formazione. Ciò certamente non contribuisce a svelenire il clima, anzi, è proprio questo plateale conflitto di interessi e l’arroganza di Berlusconi a causare una crescita dei toni. Come visto prima, sarebbe un gesto di grande rispetto verso lo Stato italiano se si facesse da parte, ma non essendo obbligato e dovendo continuare a perseguire i propri interessi (tra i quali c’è anche lo sfuggire alla giustizia), è un’ipotesi da non prendere nemmeno in considerazione. Per esemplificare bene il clima che c’è su questo argomento, basti vedere cosa è successo al processo Mediaset dove Berlusconi è imputato. Dopo che giudici ed avvocati si erano accordati su un calendario di udienze che fosse compatibile con le esigenze funzionali del Premier, gli avvocati, all’udienza successiva, hanno invocato il legittimo impedimento dell’art. 420-ter per un consiglio dei ministri straordinario. Ma gli è stato negato perchè dopo aver concordato un calendario, se fosse stata ancora ammessa l’assenza dall’udienza di Berlusconi come legittimo impedimento, come è prassi fare per ministri e parlamentari, si sancirebbe una prevalenza illegittima del sereno svolgimento delle funzioni pubbliche sul giusto andamento del processo e sulla corretta amministrazione della giustizia. Non l’avessero mai fatto. Riassumo in una frase le accuse: “i giudici decidono l’andamento della politica in Italia, si permettono di decidere quando il governo si deve riunire”.
Ma c’è la possibilità di risolvere la questione in altro modo, con legge ordinaria e cercando di contemperare tutti gli interessi in gioco?
Si potrebbe ipotizzare una legge che disciplini dettagliatamente i tempi ed i modi di divulgazione degli atti e dei fatti processuali. Valutazione che potrebbe essere demandata al giudice, ma qualsiasi decisione da lui presa sarebbe suscettibile nuovamente di essere tacciata di parzialità politica. Si potrebbe allora istituire un apposito organo indipendente, di varia composizione, che decida appunto, nei processi ai politici, cosa sia di rilevante interesse pubblico e cosa no. In base a ciò si decide cosa può essere divulgato e cosa no. Organo che sarebbe comunque al centro di polemiche.
Quindi per via ordinaria si potrebbero solo dettare le regole di divulgazione di atti e fatti processuali, regole che già in parte ci sono. Ma sarebbero appunto necessarie alcune regole particolari per i processi ai politici.
Impossibile in ogni caso, per via ordinaria, dettare una disciplina che sancisca una sostanziale immunità processuale. Magari impossibile no, ma comunque incostituzionale.

Speranze.
-Che il Presidente del Consiglio faccia un gesto di altruismo, per il rispetto che deve alla carica che ricopre, rassegnando le proprie dimissioni.
-Che i componenti della maggioranza realizzino il bene comune sfiduciando Berlusconi, smettendola per una volta di inseguire i propri fini particolari. Spero molto in Fini. Non posso e non voglio credere che tutti i parlamentari del PdL e della Lega siano convinti che sia giusto che Berlusconi si comporti in questo modo.
-Che il popolo italiano si svegli ed inizi a decidere cosa è meglio per sè. Se non altro (come dicono viceversa molti elettori di Berlusconi) che inizi a decidere cosa è meno peggio.
Jacopo De Angelis


Editoriale di Minzolini sull'immunità.
Travaglio su leggi immunitarie (in particolare risposta a Minzolini, dal min 3.40)

venerdì 12 marzo 2010

Perchè essere "contro" Berlusconi?

Essere contro Berlusconi non significa essere nemico di Berlusconi. Questo fraintendimento è dovuto alla radicalizzazione dello scontro politico voluta proprio da lui. Essere contro Berlusconi significa soltanto che i propri valori sono totalmente diversi dai suoi e che non si può sopportare, pur accettandolo, che sia il principale rappresentante dell'Italia. Se non fosse in politica non interesserebbe quasi a nessuno quel che fa. La questione sta tutta nella concezione che si ha del rispetto delle regole. Se si ripone totale fiducia in un uomo solo, privi di un minimo spirito critico, è normale ritenere che le regole servano solo a disciplinare l'ordinaria vita quotidiana delle persone comuni, e non quella di chi è stato investito della sovranità popolare, perchè lui è il migliore, e quindi, oltre a dettare le regole, può starci comodamente seduto sopra.
Un importante costituzionalista tedesco del '900, Carl Schmitt, ha giustificato il nazismo sostenendo che la dittatura è l'unica forma possibile di democrazia immediata e diretta, distinguendo due tipi di dittatura: quella sovrana, dove il tiranno fa del popolo ciò che vuole; quella commissaria, dove il dittatore interviene fin dove è necessario per ripristinare l'unità del popolo, per poi ritirarsi. Schmitt legittima così il fùhrer prinzip, per cui il dittatore è colui che prende qualsiasi decisione a garanzia di questa unità del popolo, poichè la politica è ridotta al conflitto tra amico/nemico e all'eliminazione di tale conflitto. Quindi, visto che la rappresentanza parlamentare è sganciata dal votante ed è pure lenta nel decidere, è necessario che l'unità politica sia incarnata da qualcuno che non deve essere eletto, che deve essere totalmente indipendente: il dittatore, che farà il bene di tutti.

Le connessioni con l'attualità sono evidenti, questo è il modo di vedere la democrazia di Berlusconi e probabilmente di buona parte degli italiani, che infatti lo vota. La differenza con la dittatura commissaria è dovuta al fatto che le democrazie hanno fatto dei passi avanti e che quindi almeno il diritto di voto non è nemmeno in discussione. Oggi subentra allora la volontà, di chi lo vota, di rinunciare a qualsiasi tipo di responsabilità e di affidarsi totalmente al proprio leader, che sa quale è il bene di ciascuno, e deciderà certamente meglio di chiunque, meglio anche del diretto interessato. Questa tendenza a deresponsabilizzarsi è naturale nell’uomo, perchè scegliere è difficile e faticoso. Quante volte,presi dal dubbio, desidereremmo non dover prendere una decisione.
Quindi il 'dittatore' non prende più il potere con ogni mezzo, ma lo fa inizialmente rispettando le regole, approfittando della rinuncia delle persone alla propria libertà, ma poi, una volta che si trova lì, tutto gli è consentito, perchè questa è la volontà vera di chi lo ha eletto. Volontà che si desume dal fatto che tutto gli è perdonato e che tutto ciò che dice è preso per vero, la sua parola vale più di qualsiasi altra.
Ma allora dove sorge il problema? Sorge nel momento in cui su 50milioni di persone, la maggioranza di queste non lo vota e lui con una maggioranza relativa impone la sua tracotanza. Certo, la maggior parte delle sue attività sono svolte nell'apparente rispetto delle regole, ma a parte il creare regole apposta per sè, le altre le svuota di contenuto. E questo non è accettabile per la maggioranza degli italiani, che non riescono ad impedirlo per il semplice fatto che non sono uniti tra loro perchè non hanno la stessa fede verso un leader politico di quella che hanno gli elettori di Berlusconi. Quindi non ci vedo niente di strano in questa particolare attenzione rivolta all’attuale Presidente del Consiglio. Semplicemente è una reazione di coloro che basano la propria convivenza con gli altri sul rispetto della persona e della regole e che credono nella democrazia vera, quella democrazia che solo se sostanziale consente che i diritti di tutti vengano rispettati, che i diritti delle minoranze non siano schiacciati sotto i numeri della maggioranza (peraltro relativa).

Spero mi sia consentito di fare un paragone anche un pò forte. Questo ‘accanimento’ su Berlusconi, altro non è che un tentativo di estirpare un cancro dalla società (in egual modo lo stesso Berlusconi ha definito i magistrati), un naturale tentativo di autodifesa contro un ‘male’ che si espande a vista d’occhio, che corrompe le cellule più vicine, che si insinua nei meandri più bui, che si rinvigorisce e che prende addirittura la forza di uscire alla luce del sole e di farsi accettare per quello che è, imponendosi come rappresentante della normalità, come se la situazione non fosse mai stata diversa da così. E le cellule, ormai senza energie, imbambolate da medicine che tolgono il dolore ma che non debellano il male (televisione?), ma che anzi lo peggiorano perchè non vedendone più i sintomi non lo si può più combattere, non possono far altro che adeguarsi al sistema ‘normale’ e smettere di lottare, azione diventata troppo faticosa e ritenuta inutile. La cura è molto difficile da trovare, anche perchè il paziente non collabora per niente. Ma le cellule ancora sane non devono smettere di avere fiducia, non devono credere che da soli non si possa fare niente, perchè è proprio questa una della cause che ha permesso alla malattia di espendersi così tanto. Essa ha infatti diffuso l'accettazione ed eliminato l'indignazione e lo ha fatto alimentando due virus normalmente latenti dentro ogni cellula, quello della mancanza di fiducia in sè stessi e quello dell’egoismo. Queste cellule ancora non malate devono, quindi, curare tutte le cellule più vicine prospettandogli un futuro migliore e credendo nella sua realizzabilità. Devono quindi infondere fiducia alle altre cellule, innescando così un circolo virtuoso che farà sì che la guarigione si espanda a macchia d’olio, per arrivare fino al centro e debellare finalmente la malattia. Questo è un processo tendenzialmente lento, ma potenzialmente molto rapido, e bisogna iniziarlo ora. Sempre che non sia già cominciato.
Jacopo De Angelis

giovedì 11 marzo 2010

GIOVANI & POLITICA

Se si ha la fortuna di assistere o partecipare ad una delle rare conversazioni fra i giovani su fatti riguardanti la politica, si sentirà sicuramente qualcuno dire la fatidica frase: “ I politici sono tutti dei ladri”; e se a sostenere questa tesi intervengono anche conduttori di programmi televisivi e radiofonici (lo Zoo di 105 in primis), si crea una sorta di circolo vizioso, a mio avviso, molto pericoloso: se all’inizio quella frase era una semplice congettura di qualcuno, a lungo andare, nei giovani è infervorata la convinzione che tutti i politici vogliono veramente farsi i propri affari a discapito della gente che li ha votati.
D’altro canto, però, non viene fatto assolutamente nulla per confutare questa affermazione e, come infatti si può notare ultimamente, i politici, o meglio una piccola parte di essi (se pur importante), sembrano più preoccupati ad inventare leggi su misura, ad personam o come le si voglia chiamare, piuttosto che di occuparsi dei seri problemi della gente.
E’ inoltre cosa appurata che il mondo della politica, senza nessuna esclusione, sia ormai diventato una casta, e come tale, aperta solo a quei pochi eletti che vengono riproposti ovunque, senza dare alcun minimo spazio e alcuna minima fiducia ai giovani.
Per non addossare tutta la colpa alla casta, va anche detto che il disinteresse sulle vicende politiche del nostro paese è anche dovuto ad una sorta di pigrizia interiore e ad un grave rincoglionimento globale che non spinge i giovani a partecipare attivamente o ad informarsi o ancora peggio ad accrescere il proprio livello culturale.
A conferma delle mie ipotesi, da quanto emerge dall’ultimo sondaggio ISTAT sulla partecipazione politica (realizzato nel Febbraio 2009), il 23,3% della popolazione over 14, ovvero quasi un italiano su quattro, non si preoccupa MAI di sapere nulla di politica; in questi dati, i giovani tra i 14 e i 24 anni, occupano una fetta importante e si dividono equamente tra chi è completamente disinteressato e chi invece è semplicemente sfiduciato.
Un altro dato importante rilevato in questa indagine, che ci permette di tirare un respiro di sollievo, è l’interesse della quasi totalità dei laureati e degli studenti universitari: il 62% degli uomini ed il 56% delle donne, almeno una volta a settimana, parlano di politica.
Sempre parlando di dati ISTAT, un’altra indagine rivela che il 93,5% della popolazione si affida alla televisione come mezzo di informazione politica; la cosa si commenta da sé: in un paese in cui la televisione, sia pubblica che privata, è completamente schiacciate dai poteri dei partiti, tutte le trasmissioni, a partite dal TG1 Minzoliniano fino ad arrivare ad Annozero, secondo me, non sono in grado di fornire una corretta e neutrale informazione, soprattutto ad un ragazzo che è molto più condizionabile di un adulto.
Credo sia giunto il momento di fermarsi a riflettere sul fatto che in questi giorni è presente una crisi grave quasi quanto quella economica, ovvero la crisi dei valori, che spinge la gente a formulare pensieri di una banalità e di una bassezza mai visti, come del resto lo è la frase: “Tutti i politici sono dei ladri”.
E’ ora che questi presunti ladri si rendano seriamente conto di quello che sta succedendo oggi nel nostro paese, ovvero che la situazione così com’è non va affatto bene e, prima che questo circolo vizioso si allarghi credo che sia opportuna un’inversione di marcia da parte dei nostri politici, per rivedere alcune delle proprie posizioni ma soprattutto alcuni del propri atteggiamenti nei confronti della gente; se non si interviene in tempo a colmare queste lacune c’è la seria possibilità che le generazioni future siano persino peggio della nostra.

Amodeo Emanuele


martedì 9 marzo 2010

PURPLE REVOLUTION


"Oggi la nuova resistenza in cosa consiste? Ecco l'appello ai giovani: di difendere queste posizioni che noi abbiamo conquistato, di difendere la Repubblica e la democrazia.
Oggi ci vogliono due qualità: l'onestà e il coraggio; ed è per questo che la politica si deve fare con le mani pulite. Se c'è qualcuno che fa scandalo e qualche uomo politico che si approfitta della politica per fare i suoi sporchi interessi deve essere denunciato."
[Sandro Pertini, appello ai giovani]


lunedì 8 marzo 2010

NIENTE DA FESTEGGIARE


Per molte donne l' 8 marzo vuol dire eguaglianza a livello sociale, vuol dire lotta per l'affermazione di valori spesso dimenticati, vuol dire libertà; molte altre donne invece si sono dimanticate del vero significato di questa festa o forse non l'hanno mai saputo.
E' per questo che voglio proporvi una lettera pubblicata oggi (8/3/2010) dal Corriere della sera di Alice Zentilomo, una studentessa come tante, consapevole delle difficoltà che devono affrontare quotidianamente le donne d'oggi.

La redazione de "LaMansardaLibera" augura a tutte le donne una buona festa per l' 8 marzo con la speranza di un futuro in cui i vostri diritti siano veramente uguali a quelli di noi uomini.

Link:
"Niente da festeggiare" di Alice Zentilomo

Elezioni Regionali

In periodo pre-elettorale (soprattutto in questo), sembra utile ricostruire il modo in cui ci è data la possibilità di partecipare a un importante momento di democrazia. Utile soprattutto in un momento storico in cui si tende a tenere all’oscuro il cittadino dei meccanismi con cui può contribuire all’andamento della vita democratica. Questo perchè il cittadino è considerato come un mero produttore di consenso, e perchè non si capisce che a volte la forma fa la sostanza. (é per esempio sostanziale la differenza tra un sistema elettorale maggioritario e uno proporzionale).
Ogni regione è libera di adottare il sistema elettorale che preferisce, senza però poter eccedere i vincoli costituzionali. Se la Regione (a Statuto ordinario) non provvede a fornirsi di un proprio sistema, il meccanismo è disciplinato da due leggi statali, ossia la legge 108/1968 e la legge 43/1995, e una legge costituzionale, la numero 1 del 1999. Solo alcune Regioni ne hanno adottato uno proprio, mantenendo comunque come base quello comune: per esempio in Toscana non è possibile esprimere preferenze, in Campania si possono esprimere due preferenze, ma la seconda deve essere necessariamente per una persona di sesso femminile.
La disciplina prevede che il capolista della lista regionale (c.d. listino del Presidente) che ha ottenuto la maggioranza relativa dei voti sia eletto direttamente Presidente di Regione (ove per maggioranza relativa si intende che è sufficiente avere ottenuto un voto in più dei concorrenti presi singolarmente; concetto contrapposto a quello di maggioranza assoluta, per cui è necessario ottenere il 50% più uno dei voti).
Oltre alle liste regionali, ci sono anche le liste provinciali. Ogni lista provinciale deve essere necessariamente collegata a un Listino. Il numero dei candidati per ogni provincia non può essere superiore al numero, già previsto, di consiglieri che saranno eletti in quella provincia, nè inferiore a 1/3 di tale numero. Il Listino invece dovrà essere composto da almeno dal 10% dei seggi del consiglio regionale.
Sono varie le modalità con cui è possibile esprimere il proprio voto:
1- Votare il Presidente e una lista provinciale ad esso collegata
2- Votare il Presidente e una lista provinciale scollegata (c.d. voto disgiunto)
3- Votare il Presidente e basta (il voto non avrà effetti sulle liste collegate)
4- Votare la lista provinciale e basta (il voto andrà anche al Presidente)
In ogni caso è prevista la possibilità di esprimere una preferenza per un candidato della lista provinciale.
Dopo avere stabilito la vittoria del Presidente e che il candidato Presidente che è arrivato secondo è eletto membro del consiglio regionale, i seggi vengono così ripartiti:
1- Se le liste provinciali collegate ottengono il 50% o più dei seggi, sarà assegnato al listino solo il 10% dei seggi
2- Se le liste provinciali collegate ottengono meno del 50% dei seggi, il 20% dei seggi sarà assegnato al Listino,di cui quindi vengono eletti tutti i candidati.
a) se il Listino ha ottenuto meno del 40% dei voti, e la somma dei seggi ottenuti dalle liste provinciali e dal Listino è inferiore al 55% dei seggi, è assegnato un numero di seggi aggiuntivi tale da arrivare al 55% dei seggi
b) se il Listino ha ottenuto più del 40% dei voti, e la somma dei seggi ottenuti dalle liste provinciali e dal Listino è inferiore al 60% dei seggi, è assegnato un numero di seggi aggiuntivi tale da arrivare al 60% dei seggi
Si deduce quindi che le elezioni regionali si basano su un sistema maggioritario, essendo nominato Presidente chi ha la maggioranza relativa, ed essendo il consiglio eletto per 1/5 con un sistema maggioritario, a cui si aggiungono altri correttivi in direzione maggioritaria.
Per sistema elettorale si intende quindi quel meccanismo che regola le modalità di votazione e di elezione dei candidati.

Altra cosa è la disciplina che detta le regole per la presentazione delle candidature, sancita, anche per gli enti locali, da leggi dello Stato. Ed è questo l’oggetto di tante polemiche di questi giorni.
Vediamo quali sono i documenti necessari per una valida candidatura. Ma prima due piccole premesse: quando e dove presentarli?
Quando: entro le 12 del ventinovesimo giorno antecedente le elezioni (in questo caso entro mezzogiorno del 27 febbraio), avendo a disposizione anche il giorno precedente.
Dove: a) le liste provinciali presso la cancelleria del Tribunale presso il quale ha sede l’ Ufficio Centrale Circoscrizionale.
b) le liste regionali presso la cancelleria della Corte d’ Appello del capoluogo regionale presso la quale è costituito l’ Ufficio Centrale Regionale.
I documenti necessari sono molti, soprattutto per chi è poco incline ad avere rapporti con la burocrazia.
1- Documenti riguardanti il candidato:
a) dichiarazione di accettazione della candidatura( che può essere presentata al massimo in tre circoscrizioni provinciali, e non in liste diverse, e massimo in due regioni).Con firma e autenticazione della firma.
b) certificato che attesti che il candidato sia elettore di un Comune della Repubblica, rilasciato dal Sindaco.
2- Indicazione di due delegati per la presentazione delle liste, che sono gli unici a poter dichiarare il collegamento tra liste provinciali e regionali, e viceversa. Inoltre nominano i rappresentanti di lista provinciali, che saranno presenti al momento della votazione e dello scrutinio presso il seggio elettorale.
3- Contrassegno di lista. Bisogna consegnarne tre modelli, delle dimensioni prescritte, e non devono essere identici nè confondibili con i simboli di partiti notori o già presenti in Parlamento o già depositati.
4- La dichiarazione di presentazione della lista, che è il documento più importante e che in questi giorni è oggetto di discussione. Esso è infatti composto da vari elementi necessari.
Tale dichiarazione deve essere sottoscritta da un numero di elettori che varia a seconda del numero di abitanti della provincia(da 750 per le province con meno di 100mila abitanti, a 3000 per le province con più di 1 milione di abitanti).
Stessa cosa per le liste regionali. In particolare per le Regioni con più di 1 milione di abitanti, devono esserci dalle 3500 alle 5000 sottoscrizioni. (è il caso del Listino ‘Per la Lombardia’ di Formigoni,pdl). Non si può sottoscrivere più di una lista, pena un’ammenda dai 200 ai 1000 euro.
Le sottoscrizioni devono essere poste su appositi moduli, che devono avere: il contrassegno della lista, nome e congnome, data e luogo di nascita del candidato e del sottoscrittore, con indicazione del comune di residenza di quest’ultimo.
La sottoscrizione (ossia la firma) deve essere autenticata da un Pubblico Ufficiale, che deve indicare le modalità di identificazione del sottoscrittore (ad esempio tramite carta d’ identità), il luogo ed infine la data dell’autenticazione (che può essere antecedente al massimo di 6mesi alla data di presentazione delle liste). In questo caso, sono da ritenersi Pubblici Ufficiali: notai, giudici di pace, sindaci, assessori comunali e provinciali, presidenti dei consigli comunali e provinciali (che possono anche incaricare dei funzionari). Questi Pubblici Ufficiali possono operare solo nel territorio di propria competenza.
5- Devono infine essere consegnati anche dei certificati che attestino che i vari sottoscrittori siano effettivamente elettori di quella circoscrizione. Certificati che si ottengono dal Sindaco e che possono essere anche collettivi.

Le liste vengono presentate nei termini predetti dai delegati, nelle mani del cancelliere, che redige il verbale. Si raccomanda al cancelliere di segnalare subito eventuali vizi che egli sia già in grado di conoscere (per esempio un numero insufficiente di sottoscrizioni).
Le liste vengono poi consegnate al rispettivo Ufficio Centrale, composto da tre Magistrati, che entro 24 ore devono aver finito di controllare la regolarità delle liste, ossia la regolarità dei documenti sopra elencati. Nel caso siano riscontrate irregolarità, deve essere effettuata in giornata una comunicazione ai delegati interessati, che possono ricorrere contro la decisione entro 24 ore dal ricevimento della comunicazione. Da sottolineare il fatto che sono già previsti i casi in cui i vizi possono essere sanati: se il numero di candidati nella lista è superiore al limite previsto, vengono cancellati gli ultimi nominativi; se la dichiarazione di accettazione del candidato o se il suo certificato elettorale non sono validi, viene cancellato il nome del candidato; se il simbolo della lista è identico o confondibile con altri, ciò viene subito comunicato ai delegati di lista che entro le 9 del giorno dopo devono sostituirlo.
Si nota così come siano già previste delle modalità di sanamento dei vizi, sia da parte dei giudici, che da parte degli stessi interessati (vedi la sostituzione contrassegno di lista).

Viste le regole, vediamo ora i fatti avvenuti negli ultimi giorni.
I Radicali, che hanno vista esclusa dalla competizione la propria lista per insufficienti sottoscrizioni (lista Bonino-Pannella), hanno fatto un esposto all’ Ufficio Centrale, chiedendo l’esclusione dalla competizione elettorale delle liste di Penati (PD) e di Formigoni (PdL,nella foto) per alcune irregolarità negli atti di presentazione.
Premettendo che l’Ufficio avrebbe comunque esaminato le liste, ecco le richieste dell’esposto, con le rispettive decisioni (risalenti all’ 1 marzo):
-alcuni certificati elettorali sono stati rilasciati prima che il sottoscrittore stesso firmasse, ma ciò è possibile, poichè potrebbe ben essersene munito prima di firmare
-la chiusura della lista di Formigoni (ossia 24 febbraio) è stata effettuata in epoca posteriore a quella effettivamente sottoscritta da buona parte dei firmatari, che quindi hanno firmato su una lista diversa da quella alla fine presentata, ma è un vizio non rilevabile dall’Ufficio, perchè basato su articoli di giornale, la cui veridicità è di difficile verifica
-alcune autenticazioni sono invalide per mancanza: a) della data (121); b) del luogo (229); c) della qualifica dell’ autenticante (28); d) del timbro (136)
Quindi solo ques’ ultimo punto è stato rilevato sussistente dall’Ufficio, che ha quindi dichiarato invalide 514 autenticazioni, che sottratte alle 3935 presentate, rendono invalida anche la lista di Formigoni, perchè sottoscritta da solo 3421 elettori, inferiori per numero ai 3500 previsti.
Alla lista di Penati sono state invalidate 173 sottoscrizioni, ma tale lista rimane comunque sopra le 3500 (sono infatti 3622).

Al ricorso subito presentato, l’Ufficio Centrale della Corte di Appello di Milano, composto dai giudici Bonaretti, Colombo e Barbuto, ha deciso ancora per l’ esclusione della lista (in data 3 marzo), decisione immediatamente impugnata da Formigoni presso il T.A.R (Tribunale Amministrativo Regionale). Vediamo le decisione e le rispettive nuove lagnanze (del nuovo ricorso al TAR).
Innanzittutto l’Ufficio ha riconteggiato le sottoscrizioni, che sono risultate 3872 anzichè 3935. Di queste ne ha ritenute valide solo 3628 (244 no), alle quali vanno ancora sottratte le 514 che presentano dei vizi nell’ autenticazione. Sono quindi solo 3114 le sottoscrizioni valide, ne mancano 386 per arrivare a quota 3500. Nel ricorso al TAR Formigoni (ovviamente tramite i suoi legali) sostiene che questo ampliamento dell’ ambito di decisione non è legittimo, anche perchè non dà motivazione del perchè 244 sottoscrizioni sono ritenute invalide. (vero è che non viene data motivazione, ma un Ufficio, che peraltro ha in questo caso il dovere di controllare la regolarità delle liste, ben potrà ritenere di conoscere anche nuovi elementi, se importanti ai fini della decisione).
I tre Magistrati, nel riconfermare l’ invalidità dell’ autenticazione di 514 sottoscrizioni, si rifanno all’ art. 21,2 del DPR 445/2000, che così recita: “l’autenticazione è redatta di seguito alla sottoscrizione e il pubblico ufficiale, che autentica, attesta che la sottoscrizione è stata apposta in sua presenza, previo accertamento dell’ identità del dichiarante, inidicando le modalità di identificazione, la data e il luogo dell’autenticazione, il proprio nome e cognome e la qualifica rivestita, nonchè apponendo la propria firma e il timbro d’ ufficio.” Da ciò l’Ufficio deduce che le formalità sono il risultato di una scelta del legislatore, che ha tipizzato l’atto di autenticazione per renderlo idoneo a produrre i suoi effetti. Le formalità qui previste costituiscono quindi il minimo essenziale per assicurare la certezza della provenienza della sottoscrizione dal soggetto che figura averla apposta, non essendo possibile trovare un criterio adatto a distinguere tra requisiti essenziali e requisiti meramente accidentali. A sostegno di ciò ci sono anche alcune sentenze del Consiglio di Stato (ultimo grado di giudizio della Giustizia Amministrativa). Inoltre, anche tenenendo conto delle firme autenticate senza il timbro, si arriverebbe comunque solo a 3250. Quindi il timbro è l’ unico requisito che può ritenersi non essenziale, perchè tra i pubblici ufficiali previsti ci sono anche i consiglieri comunali, che sono normalmente sprovvisti di timbro.
A ciò nel nuovo ricorso si controbatte con le seguenti motivazioni: che possono essere depennate solo le sottoscrizioni prive di autenticazione, e che eventuali vizi delle autenticazioni stesse non siano rilevanti, perchè ciò non è espressamente previsto (ma non si capirebbe allora perchè prevedere che le sottoscrizioni vadano autenticate, se tanto non sono importanti le regole che prevedono le modalità di autenticazione.), a meno che non ci siano carenze talmente evidenti da dimostrarne l’ inesistenza. Sostenendo così la distinzione tra requisiti essenziali e accidentali, negata precedentemente dall’Ufficio. Nello specifico Formigoni sostiene che appunto il timbro non è elemento invalidante, come già ammesso dall’Ufficio. Ritiene anche la data di autenticazione una pura formalità perchè essa è sicuramente compresa nei termini stabiliti per legge (ossia tra la data di scadenza di presentazione delle liste e i 6 mesi precedenti), poichè se c’è scritta la data di elezione, significa che i comizi elettorali sono già stati convocati, e dato che questi sono convocati 2 mesi prima delle elezioni, c’è la certezza che i tempi siano stati rispettati. Alla mancata qualificazione dell’autenticante si può ovviare guardando il suo timbro, che corrisponderà alla qualifica. Anche per quanto riguarda la mancata indicazione del luogo il ricorrente ritiene che vi si possa risalire guardando il timbro.

Premettendo che il 6 marzo il TAR ha deciso una sospensiva delle decisioni dell’Ufficio Centrale impugnate da Formigoni, perchè la presentazione delle liste era già stata verbalizzata e perchè effettivamente, per legge, in questa materia, possono essere impugnate solo decisioni avverse al diretto interessato. Ha quindi riammesso la lista di Formigoni alle elezioni, consentendo la stampa dei vari cartelloni elettorali e delle altre procedure. Ma non in maniera definitiva, come detto dallo stesso Formigoni che ha sostenuto di essere sempre stato in corsa e di aver vinto questa battaglia, ma in via provvisoria. Il TAR dovrà infatti ora decidere nel merito se la lista è stata presentata con un numero sufficiente di sottoscrizioni valide. Anche se si appurerà che i Radicali non erano legittimati a presentare l’esposto. La riammissione è stata decisa solo per evitare che venga rovinata la campagna elettorale a chi potrebbe essere successivamente ritenuto in regola, ma niente impedisce che poi venga esclusa la lista.

Vediamo quindi come potrebbe decidere il TAR.
-Innanzitutto potrebbe andare a verificare se effettivamente si è verificato quanto dichiarato nell’ esposto presentato dai Radicali (vedi sopra), cioè se la lista di candidati non sia stata cambiata più volte nel corso delle sottoscrizioni, e ciò basterebbe da solo a invalidare molto sottoscrizioni (ma ciò si può verificare solo se è stata fatta una domanda tempestiva da una delle controparti chiamate in causa, tra cui c’ è anche Penati).
-Secondo. Dovrà verificare i motivi che hanno condotto all’ invalidazione di 244 sottoscrizioni (che sono le firme vere e proprie,ad esempio se uno si firma jd,anche se autenticata, tale firma non è valida, mentre i vizi dell’ autenticazione riguardano la procedura di accertamento).
-Terzo. Dovrà ritenere valide le autenticazioni prive di timbro (secondo la giurisprudenza del Consiglio di Stato).
-Quarto. Dovrà verificare che nei fogli, dove manchi la data di autenticazione, ci sia scritta la data delle elezioni, così da avere la certezza che sia stata fatta nei limiti dei termini fissati (vedi sopra).
-Quinto. Dovrà controllare che nelle autenticazioni in cui l’autenticante non sia qualificato, che ci sia il timbro.
-Sesto. Per quanto riguarda la mancata indicazione del luogo dell’autenticazione, non penso possa essere accolta la tesi del ricorrente, secondo la quale si può risalire al luogo, dal timbro. Il Pubblico Ufficiale può autenticare solo nel territorio di propria competenza (ad esempio se è un consigliere comunale può operare solo all’ interno del proprio Comune). Quindi, non essendo indicato il luogo, il timbro, eventualmente posto in un altro Comune, indicherebbe come luogo di realizzazione dell’ autenticazione un luogo diverso da quello ove effettivamente è stata posta la firma.
Vero è che già l’Ufficio Centrale ha affermato nella sua seconda decisione, che le formalità previste dal legislatore sono poste per la necessità di verificare che la presentazione della lista corrisponda effettivamente alla volontà della quota di elettori indicata. Ma questo principio (sotenuto anche dal ricorrente) andrebbe applicato anche al primo punto, e quindi tale volontà degli elettori non sussisterebbe se venisse provato che molti hanno sottoscritto una lista diversa da quella finale. Nel caso della mancata indicazione del luogo, la volontà dell’ elettore non può essere verificata da una persona che in quel luogo non ha legittimazione ad operare. Potrebbe anche essere che il luogo sia effettivamente quello del timbro, ma bisognerebbe provarlo chiedendolo a chi ha sottoscritto. Ma sarebbe possibile andare dalle 229 persone che rientrano in questa situazione, e chiederle in che luogo hanno firmato? Ammesso che sia possibile proceduralmente farlo, sarebbe accettabile una dichiarazione fatta a posteriori, dando magari la possibilità di modificare il luogo effettivo della firma? Cosa che facilmente potrebbe accadere, dato che se qualcuno sottoscrive una lista, è sottointeso che simpatizzi per essa.
Perchè un Pubblico Ufficiale possa operare solo nell’ area ad esso designata lo si capisce da sè, ma perchè non possa sancire, anche al di fuori della propria competenza, la volontà sostanziale di un elettore lo si capisce meglio da quanto affermato dall’ Ufficio Centrale nella sua decisione: “..non c’ è pregiudizio giuridicamente rilevante all’ interesse pubblico ‘ricollegato alla tutela della volontà manifestata dal corpo elettorale secondo i principi di democraiza e di partecipazione costituzionalmente garantiti’(vedi ricorso), perchè l’esercizio di tali diritti non può che svlogersi nel rispetto dei limiti e delle forme previste dalla legge”.

Quindi sono varie le decisioni possibili, ma determinanti in assoluto in termini numerici sono i punti primo,secondo e sesto (di cui sopra). Ipotizzando che il primo sia favorevole al ricorrente e il secondo contro, determinante sarà solo l’ interpretazione che il giudice darà al punto sesto sulla mancata indicazione del luogo. In generale il risultato non è prevedibile, perchè verrà esaminata ogni singola sottoscrizione con la relativa autenticazione.

Prima di arrivare al punto cruciale della vicenda riassumo brevemente la vicenda dell’ esclusione della lista del PdL della provincia di Roma. Le versioni sono varie, ma spero, nelle mia brevità, di essere il più oggettivo possibile. Il delegato del PdL si presenta alla sede del Tribunale di Roma alle 11.45 dell’ultimo giorno disponibile per la presentazione delle liste. (ricordo che il termine perentorio è mezzogiorno). Tale delegato (Alfredo Milioni) lascia per terra uno scatolone con degli incartamenti e se ne va, per poi tornare alle 12.45. Ma non lo lasciano più rientrare. C’è chi dice che era andato a farsi un panino e chi dice che era andato a cambiare dei nomi, c’è chi dice che esponenti di altri partiti gli hanno impedito di rientrare e chi invece sostiene che i portoni erano già chiusi e sorvegliati dalla polizia. Non entro nel merito della vicenda, mi limito a dire che la provincia di Roma, per il gran numero di abitanti, è determinante ai fini delle elezioni del Lazio: con questa esclusione (o mancata presentazione) delle liste del PdL dalla provincia di Roma, il risultato della candidata Governatrice Renata Polverini (nella foto) è fortemente compromesso. Per cui è stato fatto ricorso. Dopo che la Corte di Appello di Roma si é pronunciata per la non partecipazione della lista alle elezioni, ora il procedimento è davanti al TAR del Lazio.

Viste le regole di presentazione e ammissione delle candidature, ben riassunte dalle istruzioni elettorali del Ministero dell’ Interno del 6 febbraio.
Visti i fatti accaduti in Lombardia e nel Lazio.
Ecco il provvedimento varato dal Governo, il Decreto Legge 29/2010 emanato dal Presidente della Repubblica Napolitano, sottoscritto e proposto dal Presidente del Consiglio Berlusconi e dal Ministro dell’ Interno Maroni.
Vediamo prima le motivazioni e poi il testo.
Motivi. La straordinaria necessità e urgenza di consentire il corretto svolgimento delle consultazioni elettorali, assicurando l’esercizio dei diritti di elettorato attivo e passivo costituzionalmente tutelati a garanzia dei fondamentali valori di coesione sociale, presupposto di un sereno e pieno svolgimento delle competizioni elettorali.
Norme. Gli articoli sono tre, ma solo il primo è fondamentale.
Al primo comma è sancita l’ interpretazione autentica della norma che disciplina i modi e i tempi di presentazione delle liste, norma che dice che "le liste dei candidati devono essere presentate alla cancelleria del Tribunale dalle ore 8 del trentesimo giorno alle ore 12 del ventinovesimo giorno antecedenti quello della votazione". Questa norma deve essere così autenticamente interpretata: "il rispetto dei termini orari di presentazione delle liste, si considera assolto quando, entro gli stessi, i delegati incaricati della presentazione delle liste, muniti della prescritta documentazione, abbiano fatto ingresso nei locali del Tribunale. E tale presenza può essere provata con ogni mezzo idoneo."
Questo risolve la situazione di Roma, con l’ aiuto del comma 4 che dice che "i delegati che si siano trovati in quelle condizioni possono effettuare la presentazione delle liste dalle ore 8 alle ore 20 del primo giorno non festivo dall’ entrata in vigore del presente decreto."
Passiamo ai provvedimenti ‘lombardi’.
Il comma 2 prevede che le firme si considerano "valide anche se l’autenticazione non risulti corredata di tutti gli elementi previsti" dalla legge (vedi sopra), "purchè tali dati siano comunque desumibili in modo univoco da altri elementi presenti nella documentazione prodotta. In particolare, la regolarità dell’autenticazione delle firme non è comunque inficiata dalla presenza di un irregolarità meramente formale quale la mancanza o la non leggibilità del timbro della autorità autenticante, dell’ indicazione del luogo di autenticazione, nonchè dell’indicazione della qualificazione dell’autorità autenticante, purchè autorizzata."
Il terzo comma stabilisce che l’art. 10,5 della legge 108/1968 che dice che: "contro le decisioni di eliminazione di liste o di candidati, i delegati di lista possono, entro 24 ore dalla comunicazione, ricorrere all’ Ufficio centrale regionale" deve essere così interpretato: "che le decisioni di ammissione di liste di candidati o di singoli candidati da parte dell’Ufficio centrale regionale sono definitive, non revocabili o modificabili dallo stesso ufficio. Contro le decisioni di ammissione può essere proposto eslcusivamente ricorso al Giudice amministrativo soltanto da chi vi abbia interesse."
Il quarto comma infine dice che queste disposizioni si applicano anche alle operazioni e ad ogni altra attività (per esempio procedimenti davanti al TAR?) relative alle elezioni regionali, in corso alla data di entrata in vigore del presente decreto.

La legge 400 del 1988 all’ art. 15 prevede le materie che non possono essere disciplinate da un decreto legge, e tra queste c’ è la materia elettorale, che quindi può essere regolata solo da leggi emanate dal Parlamento. Ciò è previsto anche dall'art. 72 della Costituzione. Lo scopo è di evitare che che le regole del gioco vengano cambiate da una parte sola.
Se è previsto che una materia possa essere regolata solo da un determinato organo, è normale che solo esso abbia la possibilità di dare un’ interpretazione vincolante delle norme emanate in quel settore( oltre ovviamente i giudici che dovranno applicarle).
Ma anche a prescindere da questa banale regola, si può notare che nonostante il titolo sia 'interpretazione autentica di..' c’ è molto di dispositivo, e poco di interpretativo. Proprio al comma 4 non si fa mistero di cosa si stia parlando, infatti invece che ‘interpretazioni’, si dice ‘disposizioni’.
Il comma 2 dice che non sono necessari tutti gli elementi dell’ autenticazione, purchè desumibili dagli altri. Però subito dopo c’ è una smentita, si stabilisce infatti che la mancanza del timbro, del luogo o della qualificazione non possono comunque inficiare le regolarità dell’ autenticazione. Quindi nella prima parte è stabilito che non è necessaria la presenza fisica di tutti gli elementi, ma quella intrinseca della deducibilità, per cui in pratica gli elementi essenziali dell’ autenticazione (che sono: presenza al momento della sottoscrizione, data, luogo, timbro e qualificazione) devono essere sostanzialmente conoscibili. Mentre nella seconda parte si dice che data, luogo, qualificazione e timbro sono mere formalità.
A parte la palese contraddizione logica, stabilire cosa rileva e cosa no, è un’ azione ben lontana dall’ interpretare. Quindi si stabilisce che basta firmare davanti a una persona (che deve essere per lo meno un pubblico ufficiale) perchè la sottoscrizione sia autenticata. Magari anche senza sapere di essere di fronte a un pubblico ufficiale, magari pensando di firmare tutt’ altro. Se per una gara di 400 metri a ostacoli è stabilito che ogni atleta deve saltare 15 ostacoli,non si può definire un’interpretazione dire che in realtà con 15 si intende il numero massimo di ostacoli che uno può saltare, e che quindi può anche passarci di fianco, che vale lo stesso. Anche perchè poi potrebbe arrivare qualcuno e pensare di assistere a una gara di 400 metri normale. Allo stesso modo, la mancanza di formalità può far credere di sottoscrivere tutt’altro.
Ometto di parlare del terzo comma e torno a Roma. La legge prevedeva che le liste devono essere presentate entro mezzogiorno. Allora non si riesce a capire come è possibile che dal termine ‘presentate’ si possa dedurre che basta essere presenti con gli scatoloni delle sottoscrizioni nell’ edificio. E tra l’altro potrebbe anche essere possibile entrare con tutti i documenti alle 11.59, andare a chiudersi in bagno e stare lì una settimana, poi uscire fuori e dire che si è avuta un’ impellenza, ma che comunque si era entrati nei termini previsti!

Conlcudo. Gli effetti di questo decreto sono molto prevedibili, visto che è stato fatto ad hoc, cucito su misura, come abbiamo visto punto per punto. In Lombardia tutti i vizi formali, che erano stati individuati nell’autenticazione delle sottoscrizioni, non dovranno più essere considerati ai fini della regolarità. Allo stesso modo nel Lazio, si proverà che il delegato Milioni era presente con i documenti prima di mezzogiorno e avrà quindi diritto di presentare nuovamente le liste, passeggiando su un tappeto rosso agli squilli dei trombettieri in fila. Trombettate che potranno interpretarsi sia come di scherno del povero Milioni, sia come giubilo per la corsa solitaria verso le mani del cancelliere.
Ma visto il contenuto del decreto, non è da escludere che i giudici amministrativi (del TAR), che si troveranno a doverlo applicare, sollevino la questione di legittimità costituzionale. E già la Giunta regionale del Lazio ha deciso di impugnarlo mediante ricorso davanti alla Corte Costituzionale.
Jacopo de Angelis

mercoledì 3 marzo 2010

LE CANDIDATE CHE PIACCIONO A SILVIO

QUANDO SILVIO VUOL FARE IL MANDRILLO...

Questo è l'audio delle conversazioni tra il nostro presidente del consiglio (...) Silvio Berlusconi e la escort, o meglio prostituta, Patrizia D'Addario in occasione degli incontri tra i due a palazzo Chigi e portata dai pm come prova nel processo ai danni di Gianpaolo Tarantini (detto il Gianpy), l'imprenditore convolto nello scandalo della sanità in Puglia.

Buon ascolto...